Con la sentenza n. 18549, pubblicata il 30 giugno 2023, la Suprema Corte torna a pronunciarsi sull’ambito di applicazione dell’addizionale del 10 per cento su bonus e stock options, riconosciuti a dirigenti e amministratori nonché a coloro che risultano titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con imprese operanti nel settore finanziario prevista dall’art. 33 del d.L. n. 78/2010.
In particolare, in continuità con la pronuncia n. 16875 del 13 giugno u.s., ai fini della definizione dell’ambito di applicazione soggettiva della richiamata norma, la Corte di Cassazione ha ribadito che un’interpretazione estensiva del concetto di “settore finanziario” – da intendersi come “𝘤𝘭𝘢𝘶𝘴𝘰𝘭𝘢 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘪 𝘥𝘦𝘳𝘪𝘷𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘴𝘰𝘤𝘪𝘰-𝘦𝘤𝘰𝘯𝘰𝘮𝘪𝘤𝘢” – debba ritenersi in linea con la ratio della norma e, quindi, che “𝘭𝘢 𝘱𝘰𝘵𝘦𝘯𝘻𝘪𝘢𝘭𝘦 𝘢𝘵𝘵𝘪𝘵𝘶𝘥𝘪𝘯𝘦 𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘥𝘶𝘳𝘳𝘦, 𝘴𝘦 𝘴𝘵𝘪𝘮𝘰𝘭𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘦𝘨𝘶𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘮𝘢𝘨𝘨𝘪𝘰𝘳 𝘳𝘦𝘵𝘳𝘪𝘣𝘶𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘷𝘢𝘳𝘪𝘢𝘣𝘪𝘭𝘦, 𝘦𝘧𝘧𝘦𝘵𝘵𝘪 𝘦𝘤𝘰𝘯𝘰𝘮𝘪𝘤𝘪 𝘱𝘰𝘵𝘦𝘯𝘻𝘪𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘰𝘳𝘴𝘪𝘷𝘪, 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘱𝘱𝘢𝘳𝘦 𝘦𝘴𝘤𝘭𝘶𝘴𝘪𝘷𝘢 𝘥𝘦𝘪 𝘥𝘪𝘳𝘪𝘨𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘣𝘢𝘯𝘤𝘩𝘦 𝘦 𝘥𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘳𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢𝘳𝘪 𝘧𝘪𝘯𝘢𝘯𝘻𝘪𝘢𝘳𝘪”.
Ciò chiarito, calibrando i suddetti principi al caso di specie, è stato evidenziato che rientrano nel concetto di “settore finanziario” di cui all’art. 33, d.l. 78/2010 anche le retribuzioni riconosciute ai consulenti che sono titolari di rapporti di lavoro assimilabili ai rapporti di lavoro dipendente con società che svolgono “𝘴𝘦𝘳𝘷𝘪𝘻𝘪 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘶𝘭𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘦 𝘢𝘴𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘪𝘯 𝘮𝘢𝘵𝘦𝘳𝘪𝘢 𝘴𝘰𝘤𝘪𝘦𝘵𝘢𝘳𝘪𝘢 𝘦 𝘧𝘪𝘯𝘢𝘯𝘻𝘪𝘢𝘳𝘪𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘢𝘻𝘪𝘦𝘯𝘥𝘦” in quanto:
a) escludendo la rilevanza di qualificazioni formali di “soggetti finanziari”, il riconoscimento di una retribuzione variabile nell’ambito dell’attività di consulenza in materia finanziaria deve ritenersi in grado di generare gli effetti economici distorsivi che l’art. 33, d.l. 78/2010 mira a prevenire;
b) non può riconoscersi una posizione neutrale al consulente finanziario e quindi ritenere che gli effetti economici distorsivi da prevenire potrebbero essere generati unicamente da chi dà attuazione alla consulenza stessa giacché, da un lato, l’art. 33, d.l. 78/2010 assolve una chiara funzione di dissuasione e prevenzione del pericolo e, dall’altro, non può negarsi – quanto meno a priori – la sussistenza di un collegamento tra l’attività di consulenza e la ragione per la quale è stata richiesta.